SENTIAMO PARLARE SPESSO DI SMART WORKING, MA COSA SIGNIFICA?
Smart Working non è solamente un termine di moda, utilizzato nel mondo del business in tempi recenti. Lo smart working, o lavoro agile, è una modalità lavorativa contemplata anche nella legislatura europea ed italiana per la tutela del lavoro.
Smart working propone di rimuovere vincoli di luogo ed orario dai posti di lavoro. Dove possibile si sposterà quindi il paradigma della retribuzione da un calcolo basato sugli orari e la presenza sul posto di lavoro ad un metodo che stabilisce una flessibilità maggiore e “premia” i risultati produttivi.
In termini terra terra, è possibile lavorare come, dove e quando lo si desidera, purchè la produttività non ne risenta.
Vediamo dis eguito quali sono le caratteristiche principlai dello smart working per le aziend e per i dipendenti o collaboratori esterni.
Chi può lavorare in smart working?
A prima vista sembrerebbe che lo smart working non sia adatto a tutti. Se è palese come il lavoro agile si adatti, ad esempio, al lavoro concettuale (per intenderci quello alla scrivania), non sempre è chiaro come possa essere applicato a lavori più pratici.
Questa modalità collaborativa si adatta perfettamente al lavoro autonomo di consulenza a terzi. Qui in Lonesock ci capita spesso di gestire un cliente senza dover necessariamente andare ad occupare una scrivania nella sede dello stesso.
Nasce però una domanda spontanea. Ma, come fa un postino a lavorare da casa? In pressochè tutti i lavori esiste una frazione delle mansioni totali che non richiede necessariamente la presenza in un luogo ben preciso. Se è vero che per ritirare i pacchi serve essere all’ufficio postale e che per consegnarli serve essere all’indirizzo di consegna, non è necessario essere fisicamente in un ufficio postale per sbrigare la burocrazia legata alle spedizioni.
Ecco, quella singola parte di lavoro è adatta ad essere gestita in smart working.
Quali sono i vantaggi dello smart working per i dipendenti?
Uno studio del 2013 dell’azienda di statistica Gallup ha dimostrato che il 63% dei lavoratori dipendenti non si definisce emotivamente soddisfatto della sua situazione lavorativa.
La vera sorpresa, però, arriva quando si chiede ai lavoratori cosa migliorerebbe nelle loro vite se adottassero lo smart working. L’81 percento degli intervistati ritiene che un lavoro flessibile possa aiutarli a diventare un miglior coniuge, un miglior partner o un padre o madre migliori.
È chiaro, attraverso questa statistica, che la mancanza di flessibilità può avere un impatto negativo sulla vita personale dei lavoratori. Il lavoro flessibile consente ai dipendenti di gestire meglio obblighi e responsabilità al di fuori del posto di lavoro.
La soddisfazione sul lavoro è una componente essenziale del reclutamento e della fidelizzazione dei dipendenti. È semplice; più dipendenti sono soddisfatti del proprio lavoro, più è probabile che rimangano o si uniscano alla “mission” aziendale.
il 63% dei lavoratori dipendenti non si definisce emotivamente soddisfatto
Con lo smart working bisogna sempre essere reperibili?
Le modalità di lavoro flessibile prevedono un periodo di “disconnessione” dal datore di lavoro e dalle proprie mansioni.
Non sarà quindi necessario essere reperibili per tutta la giornata lavorativa, ma si stabilisce una fascia oraria nel quale è possibile essere rintracciati, nella quale sia il datore di lavoro, che il dipendente si allineano sulle mansioni, si affidano incarichi, si controlla lo stato del lavoro e via dicendo.
Senza una gestione simile non vi sarebbero cambiamenti sostanziali nelle modalità lavorative. Insomma cambierebbe il luogo, ma non la negatività che ne deriva.
Diverse grandi aziende tedesche e francesi hanno già raggiunto accordi per evitare il fenomeno dell’always on – Volkswagen, Bmw, Henkel, Axa France, Orange – e in Francia si sta discutendo di inserire il diritto alla disconnessione nell’ordinamento. Il tema è tanto attuale quanto delicato, non può essere lasciato alla improvvisazione.
Quali sono costi e guadagni dello smart working?
Per i colalboratori e dipendenti lo smart working significa più libertà di gestione, e quindi una relativa ottimizzazione dei tempi e dei costi. Spesso nella retribuzione o nella fatturazione non vengono calcolati costi collaterali come lo spostamento o il vitto. Per i lavoratori sicuramente c’è un guadagno ulteriore lavorando da remoto.
Per molte aziende lo smart working (così come anche il coworking) può rappresentare un modo di tagliare costi. Ad esempio quelli legati alle sedi aziendali e di conseguenza ai costi di gestione delle stesse – si pensi ai risparmi legati ad esempio alle spese energetiche connesse all’illuminazione dei locali, alla climatizzazione estiva e invernale, alla gestione delle mense aziendali, alla pulizia.
Un ultimo, ma non meno importante fattore da considerare sono i costi legati alla “retention”, ovvero la durata del periodo collaborativo tra azienda e dipendente/collaboratore. Uno dei fattori che indicano una bassa salute di un’azienda. Mantenere colalborazioni a lungo termine significa un gran guadagno sia per l’azienda che non dovrà affrontare costi per ricerca e formazione di collaboratori nuovi, sia per i dipendenti che non attraverseranno mai periodi senza occupazione.
LO STATO ATTUALE DELLO SMART WORKING
L’Italia, nonostante la sensazione di arretratezza che pervade i social, non è messa così male. Già nel 2018, secondo uno studio del Politecnico di Milano, lo smart working occupava una fetta importante delle aziende italiane. Il 58% delle grandi aziende si affida allo smart working, mentre per le PA e le PMI ci si aggira intorno al 20%, con una crescita media del 15% annuo.
Quali sono quindi i freni che ancora impediscono a chiunque possa di adottare soluzioni di smart working? I fattori principali sono culturali, con una piccola componente pratica.
Sappiamo che in qualunque tipo di lavoro è possibile, se non totalmente, almeno parzialmente adottare forme di smart working. Quel che si rivela essere lo scoglio principale è la diffidenza da parte dei datori di lavoro a non avere un controllo continuativo sull’avanzamento dei lavori. Esiste sempre una diffidenza, a volte infondata, a volte meno, che il alvoratore remoto possa risultare meno produttivo.
Questo ragionamento nasce principalmente da una scarsa comprensione degli strumenti di analisi che offre il mercato. In Lonesock, ad esempio, utilizziamo un sistema Kanban per organizzare le fasi di lavoro e controllarne i processi.
Un ulteriore scoglio è la sensazione di isolamento che può derivare dal lavoro remoto. Il 90% dei casi di smart working vede il lavoratore isolato dal gruppo produttivo, situazione che non va sottovalutata e che statisticamente a lungo andare ne abbassa la produttività. Ma sarà semplice organizzare meeting o incontri “vis a vis” in modo da eliminare sia la paura di una bassa produttività che la sensazione di isolamento.